La fortezza di Meša Selimović
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Un classico della letteratura balcanica che riporta alle atmosfere della Sarajevo del XVIII secolo, al tempo delle guerre turco-russe
PP. 448 – Prezzo 25,00 € Introduzione di Predrag Matvejević Traduzione dal serbo-croato-bosniaco di Vesna Stanić
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Che cosa cercano nella Russia lontana, nel lontano Dnestr? Cosa fa lì il sarto Ahmet Misira, cosa fa il rilegatore Paro, cosa fanno i due figli del barbiere Salih di Alifakovac, che cosa fa il calderaio Sovo, cosa fa il banditore Hido? E anche se avessero conquistato la terra straniera, cosa sarebbe cambiato? Avremmo avuto più giustizia e meno fame? E anche se fosse, alla gente non sarebbe rimasto in gola il boccone strappato all’altrui sofferenza? Vivrebbero più felicemente? No, per niente. Un altro sarto Misira avrebbe tagliato, curvo, il tessuto, e sarebbe andato a morire in qualche palude ignota. I due figli di un altro barbiere di Alifakovac, legati da amore fraterno, si sarebbero precipitati per scomparire in un altro Hoćin e in un altro Dnestr.
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Ahmet Šabo torna a casa dopo otto anni di guerra nelle paludi del Dnestr, portando con sé lo strazio, le cicatrici, le voci e i volti dei compagni morti, che affiorano alla memoria come fantasmi per poi sprofondare nuovamente nelle acque melmose di Hoćin. Ma a Sarajevo la guerra non è finita. Allunga la sua ombra sulle case distrutte, sulle famiglie sterminate dalla peste, sui corpi senza nome sepolti non si sa dove. Incombe nelle relazioni umane, sospese tra circospezione e sospetto, inganno e vendetta. E la violenza delle armi si tramuta in violenza del potere. Un potere cieco, arrogante, avido, sprezzante della legge e della morale che trova la sua concretizzazione nella Fortezza, lugubre edificio nella cui ombra si decidono le sorti degli oppositori, ridotti al silenzio e piegati dal terrore. Scritto nel 1970, La fortezza restituisce al lettore le cupe atmosfere della Sarajevo del XVIII secolo, al tempo delle guerre turco-russe. Una città crocevia di popoli e destini, osservata fin nelle sue pieghe più oscure e raccontata da una voce fuori dal coro che si leva potente, dissacrante, finalmente libera.
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MEŠA SELIMOVIĆ (1910-1982) contende a Ivo Andrić il titolo del più importante scrittore della ex Jugoslavia. Oltre a La fortezza, considerato un capolavoro della letteratura serbo-croata, è autore di un romanzo classico ingiustamente dimenticato in patria, Il derviscio e la morte (1960). Scrittore di grande impegno civile, durante la Seconda guerra mondiale ha partecipato alla lotta di liberazione ed è stato uno dei massimi intellettuali nella Jugoslavia di Tito.
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La stella di David
di Zuvdija Hodžić
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La frontiera tra il Montenegro e l’Albania in un romanzo che intreccia popoli e culture come in un fiabesco suk
PP. 276 – Prezzo 18,00 € Traduzione di Helena Kaloper
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Le città arabe si riconoscono soprattutto dai suk, dal fermento della gente e dalle variegate merci disposte sopra bisacce di pelo caprino e sudice stuoie di paglia. Vi è di tutto e di più: porcellana e seta cinesi, broccato, coltelli e sciabole arabe, piatti siriani, tela egiziana, verdura iraniana, cera e pellicce russe, lapislazzuli turchi, sigarette scadenti e tabacco greco, spezie indiane.
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La stella di David è la storia di una frontiera, ignorata nei tempi di pace e temuta nei tempi di guerra: la frontiera tra il Montenegro e l’Albania, luogo di incontri e di scontri, di amori e di paura. Numerosi personaggi popolano questo romanzo che appare come un fiabesco, affollato suk in cui si incrociano popoli e lingue. David, illuminato dalla luce di una stella, la sua stella, simbolo di tutti i visionari, sembra raccontare in chiave moderna la storia delle Mille e una notte, anch’essa un simbolo. Lungo il percorso si incontrano personaggi storici, profeti e sultani, zingari e partigiani, poeti ed eroi, ma anche molta gente comune. Nella Stella di David, la linearità narrativa del romanzo viene meno: il tempo non scorre progressivamente, ma segue un percorso ciclico, racchiudendo passato e futuro, entrambi connotati da un’aura mitica strettamente legata all’inconscio collettivo. Perché più importante della realtà in sé è la sua rielaborazione e codificazione artistica. Un romanzo che mette al centro il potere mistico e magico dell’arte di raccontare, concepita come essenza del vivere, la sola difesa possibile contro la morte e la fugacità della vita.
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ZUVDIJA HODŽIĆ è nato a Gusinje, in Montenegro, nel 1944. Dopo aver concluso gli studi presso l’Accademia pedagogica di Nikšić, si laurea a Priština alla Facoltà di Filologia. Giornalista di successo, è stato direttore di numerose testate nazionali. Membro dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Doclea, pubblica prose e poesie, inserite in numerose antologie, in patria e all’estero. Disegnatore, illustratore e grafico, per la complessità e la ricchezza narrativa dei suoi scritti Hodžić è spesso paragonato al premio Nobel Ivo Andrić. Per Besa ha pubblicato anche il romanzo L’anno di Gusigne (2019).
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Occhio di cammello di Čingiz Ajtmatov
Racconti dalla leggendaria Kirghizia
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Quattro delicati racconti firmati da uno dei più grandi ambasciatori della cultura e del folclore kirghiso
PP. 100 – Prezzo 14,00 € Traduzione di Anna Maria Bosnjak
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Nella stazione suonò un campanello, bisognava separarsi. Per l’ultima volta il padre guardò in viso il figlio e vide in esso per un momento i propri tratti, se stesso, ancora giovane, ancora all’alba della giovinezza; lo strinse forte al petto. E in quel momento con tutto il suo essere voleva trasmettere al figlio l’amore paterno. Baciandolo, Cordon disse: – Sii uomo, figlio mio! Dovunque tu sia, sii uomo! Rimani sempre un uomo!
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La Kirghizia (oggi Kirghizistan) era una delle repubbliche socialiste dell’Asia centrale. Dagli estremi confini dell’universo sovietico, arrivano i quattro delicati racconti di uno dei più grandi ambasciatori della cultura e del folclore kirghiso. Sono quattro episodi della vita di altrettanti protagonisti, ma più che i fatti in sé l’occhio di Ajtmatov esamina i sentimenti che agitano gli uomini, le loro passioni, le gioie e i dolori, con uno stile che si nutre della lezione dei grandi scrittori russi dell’Ottocento. Ambientate in un mondo in cui sono molto forti i legami tra le generazioni e il senso del dovere, le storie raccolte in Occhio di cammello aiutano a riflettere su valori che sembrano ormai dimenticati dalla civiltà occidentale contemporanea.
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ČINGIZ AJTMATOV nacque nel 1928 a Seker, nella pianura del Talas (Kirghizistan). La sua scrittura rispecchia le sue origini e la sensibilità di contadino kirghiso, ma riflette anche la nuova cultura sovietica. Ottenne il riconoscimento internazionale con La vela bianca, cui seguirono Le prime cicogne, Il giorno che durò più di un secolo, Il patibolo e Il marchio di Cassandra. Dalle eresie del XX secolo. I libri di Ajtmatov sono stati tradotti nelle principali lingue europee e lo scrittore è considerato uno dei maggiori esponenti della letteratura russa contemporanea. È scomparso nel 2008, poco dopo che i rappresentanti della cultura dei paesi di lingua turca l’avevano candidato per il Nobel alla letteratura.
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