giovedì 31 ottobre 2013

un estratto di UN DIAVOLO PER CAPELLO di Angela Cutrera



Mai vista prima. Giovanissima, biondina, esile, caruccia. Niente di che, insomma. Così, a prima vista, non l’avrei detto. Il diavolo, si sa, si veste sempre di panni innocenti, altro che Prada. Una minigonna di jeans e una canottiera di BaciRubati, misericordiosamente coperti da un grembiule che un giorno lontano era stato bianco, ma gradualmente è diventato una tavolozza per tinture di capelli di ogni sfumatura.

«Andiamo al lavaggio, signo’?»
(Uhm… no, non è proprio romana, anche se un accento strascicato dalla gomma da masticare non è così facile da identificare. Sì, riconosco gli accenti di ogni parte d’Italia.)
«Sei nuova? Attenta, mi stai schizzando tutto lo shampoo sulla gonna!»
(Certo, se guardasse la mia testa mentre la lava non sarebbe poi male, e anche se evitasse di impastare i capelli come se dovesse preparare il pane. Mi sta sbattendo la testa sul bordo lavandino, almeno fosse di plastica, è pure di ceramica dura.)
«Sì, ho cominciato ieri. Sono la cugina di Alessia.»
(Aspetta, aspetta… Ti sto sistemando sulla cartina geografica. Mi manca ancora qualche erre e ce l’ho!)
«Ah, ecco. Senti, è troppo calda.»
«Ch’haddetto, scusi?»
«L’acqua. È troppo calda, mi stai pelando il cuoio capelluto.»
(Ancora niente erre)
«Oddio, scusi signo’, è che ciò i guanti e non sento niente…»
(Oh, ma me lo fa apposta? Sembra un lipogramma: pronunciare una frase di senso compiuto senza mai usare la erre.)
«Ok, adesso va meglio. È tiepida. Temperatura perfetta. Basta così. Stop. Va bene, ho detto… È giusta. A posto. No, basta acqua fredda! È GELATA!!!»
(Oddio, ma Max dove l’ha rimediata questa?)
«Oh, scusi!! Ahahahah!!! Oddio, signo’, scusi, ma è troppo buffa! Ahahah! Mi sto ammazzando dalle risate! Ahahah!»
(Non credo alle mie orecchie – sta ridendo di me! Io sto qui immobilizzata, con i capelli ridotti a stoppa, ancora impiastricciati di balsamo, con la gonna di camoscio irrimediabilmente maculata grazie all’intervento artistico della decerebrata, e lei ride! Ora mi ricompongo e poi l’ammazzo con la limetta delle unghie. Una settantina di colpi dovrebbero bastare. Ho tutte le attenuanti.)
«Che è? Che succede qua? Tutto bene, Virginia?»
«No, Max, niente bene. Abbi pazienza, lo sai che quando vengo la mattina vado sempre di corsa e devo scappare in agenzia, e vuoi far fare pratica alla qui presente signorina Ridolini proprio con me? Non mi conoscessi, poi… Sono soltanto dieci anni che vengo qua.»
«Virginia, scusami, ma ti ho mandato Venusia proprio perché so che sei sempre di fretta e volevo farti servire subito. Lei era libera, anche se è un po’ inesperta. Colpa mia, avrei dovuto seguirla. Venusia, vai a spazzare il pavimento in zona taglio, la scopa la trovi nello sgabuzzino a fianco al bagno. La signora Virginia la finisco io.»
(Venusia? VENUSIA??? No, devo aver capito male, un po’ di shampoo dev’essere finito nelle orecchie. Che cacchio di nome è VENUSIA? Sarà Veruschka, tipo quella modella degli anni Sessanta. Certo, me la ricordo solo io e forse mia madre… Oppure Katiuscia? Più credibile, vista anche la tipa. Massì, ho capito male. Sarà sicuramente Katiuscia.)
La ridanciana nel frattempo si è calmata e sfoggia una calma olimpica. Mi guarda con occhi bovini, per nulla turbata dall’accaduto e inconsapevole della gravità del suo gesto. Si allontana ciondolante verso lo sgabuzzino, trova la scopa e comincia a spazzare il pavimento con poca convinzione.
«Vabbè, Max, ora vediamo di recuperare. Devo essere in agenzia tra mezz’ora, dovrai proprio correre. Le unghie le facciamo sabato, adesso non ho tempo. Ma dove diavolo l’hai trovata quella Katiuscia?»
«Non si chiama Katiuscia, si chiama Venusia. È la cugina di Alessia. Viene dal paese della madre, mi pare da…»
«NO! NON DIRMELO!»
«Virginia, per la miseria! Ok, non te lo dico, ma la prossima volta per favore non urlarmi all’improvviso o ti troverai con una scriminatura punk al posto della frangetta liscia!»
Max è l’unico uomo alle cui mani mi affido completamente. A dire la verità, è l’unico essere umano cui mi affido completamente. Io non mi affido mai. Anzi, non mi fido proprio.

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