In una narrazione ibrida, a metà strada fra il romanzo e il racconto breve, Magani restituisce il quadro multiforme di un’umanità accarezzata con sottile ironia nelle sue incongruenze e bizzarrie, nei suoi difetti e negli umori incostanti.
A cucire insieme i pezzi, in una trama impalpabile che spesso riaffiora e altrettanto spesso si inabissa per lasciare spazio alle vicissitudini dei personaggi, è la lenza con cui Ahmed il pescatore, a dispetto di ogni difficoltà, tende la sua trappola al barbo. L’apparente e leggendaria immobilità di quest’uomo che aspetta la preda fa da contraltare a una minaccia costante e imprevedibile che rende vano l’affaccendarsi dei personaggi e il loro tentativo di mantenersi a galla. Il terremoto, che ha sfigurato il volto di Algeri, è la fatalità contro cui è inutile combattere e al tempo stesso è folle anche solo pensare di arrendersi. A ogni scossa, a ogni crollo, a ogni catastrofe risponde l’urgenza della vita, la tenace speranza di risollevarsi.
Nelle pagine di Scena di pesca in Algeria si condensa la vita di ciascuno, con le vittorie, le ineludibili sconfitte e le peripezie che fanno di ogni storia apparentemente banale e trascurabile un’incredibile avventura.
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