Mai vista prima.
Giovanissima, biondina, esile, caruccia. Niente di che, insomma. Così, a prima
vista, non l’avrei detto. Il diavolo, si sa, si veste sempre di panni
innocenti, altro che Prada. Una minigonna di jeans e una canottiera di
BaciRubati, misericordiosamente coperti da un grembiule che un giorno lontano
era stato bianco, ma gradualmente è diventato una tavolozza per tinture di
capelli di ogni sfumatura.
«Andiamo al lavaggio,
signo’?»
(Uhm… no, non è proprio romana, anche se un accento strascicato dalla
gomma da masticare non è così facile da identificare. Sì, riconosco gli accenti
di ogni parte d’Italia.)
«Sei nuova? Attenta, mi
stai schizzando tutto lo shampoo sulla gonna!»
(Certo, se guardasse la mia testa mentre la lava non sarebbe poi male,
e anche se evitasse di impastare i capelli come se dovesse preparare il pane. Mi
sta sbattendo la testa sul bordo lavandino, almeno fosse di plastica, è pure di
ceramica dura.)
«Sì, ho cominciato ieri.
Sono la cugina di Alessia.»
(Aspetta, aspetta… Ti sto sistemando sulla cartina geografica. Mi manca
ancora qualche erre e ce l’ho!)
«Ah, ecco. Senti, è troppo
calda.»
«Ch’haddetto, scusi?»
«L’acqua. È troppo calda,
mi stai pelando il cuoio capelluto.»
(Ancora niente erre)
«Oddio, scusi signo’, è
che ciò i guanti e non sento niente…»
(Oh, ma me lo fa apposta? Sembra un lipogramma: pronunciare una frase
di senso compiuto senza mai usare la erre.)
«Ok, adesso va meglio. È
tiepida. Temperatura perfetta. Basta così. Stop. Va bene, ho detto… È giusta. A
posto. No, basta acqua fredda! È GELATA!!!»
(Oddio, ma Max dove l’ha rimediata questa?)
«Oh, scusi!! Ahahahah!!!
Oddio, signo’, scusi, ma è troppo buffa! Ahahah! Mi sto ammazzando dalle risate!
Ahahah!»
(Non credo alle mie orecchie – sta ridendo di me! Io sto qui immobilizzata, con i capelli
ridotti a stoppa, ancora impiastricciati di balsamo, con la gonna di camoscio
irrimediabilmente maculata grazie all’intervento artistico della decerebrata, e
lei ride! Ora mi ricompongo e poi l’ammazzo
con la limetta delle unghie. Una settantina di colpi dovrebbero bastare. Ho
tutte le attenuanti.)
«Che è? Che succede qua?
Tutto bene, Virginia?»
«No, Max, niente bene. Abbi
pazienza, lo sai che quando vengo la mattina vado sempre di corsa e devo
scappare in agenzia, e vuoi far fare pratica alla qui presente signorina
Ridolini proprio con me? Non mi conoscessi, poi… Sono soltanto dieci anni che vengo qua.»
«Virginia, scusami, ma ti
ho mandato Venusia proprio perché so che sei sempre di fretta e volevo farti
servire subito. Lei era libera, anche se è un po’ inesperta. Colpa mia, avrei
dovuto seguirla. Venusia, vai a spazzare il pavimento in zona taglio, la scopa
la trovi nello sgabuzzino a fianco al bagno. La signora Virginia la finisco io.»
(Venusia? VENUSIA??? No, devo aver capito male, un po’ di shampoo dev’essere
finito nelle orecchie. Che cacchio di nome è VENUSIA? Sarà Veruschka, tipo
quella modella degli anni Sessanta. Certo, me la ricordo solo io e forse mia
madre… Oppure Katiuscia? Più credibile, vista anche la tipa. Massì, ho capito
male. Sarà sicuramente Katiuscia.)
La ridanciana nel
frattempo si è calmata e sfoggia una calma olimpica. Mi guarda con occhi
bovini, per nulla turbata dall’accaduto e inconsapevole della gravità del suo
gesto. Si allontana ciondolante verso lo sgabuzzino, trova la scopa e comincia
a spazzare il pavimento con poca convinzione.
«Vabbè, Max, ora vediamo
di recuperare. Devo essere in agenzia tra mezz’ora, dovrai proprio correre. Le
unghie le facciamo sabato, adesso non ho tempo. Ma dove diavolo l’hai trovata
quella Katiuscia?»
«Non si chiama Katiuscia,
si chiama Venusia. È la cugina di Alessia. Viene dal paese della madre, mi pare
da…»
«NO! NON
DIRMELO!»
«Virginia, per la miseria!
Ok, non te lo dico, ma la prossima volta per favore non urlarmi all’improvviso
o ti troverai con una scriminatura punk al posto della frangetta liscia!»
Max è l’unico uomo alle cui mani mi affido completamente. A
dire la verità, è l’unico essere umano cui mi affido completamente. Io non mi
affido mai. Anzi, non mi fido proprio.
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