ROBERTO ZANDA“MASSICCIONE”Con Salvatore VitellinoLA VITA OLTREUna storia vera di coraggio e rinascitaEuro 17 - Pag. 272
All’inizio del 2018 ha suscitato molto clamore l’incredibile storia di Roberto Zanda. Ultramaratoneta sardo sessantenne, Zanda, conosciuto come «Massiccione» per la sua tempra, è impegnato nella Yukon Arctic Ultra, una corsa di 480 chilometri tra le nevi canadesi, conosciuta come una delle gare più dure al mondo per le temperature assurde da affrontare: fino a 50 gradi sotto zero. Già le premesse sono folli, ma qualcosa nell’organizzazione va storto, Zanda, secondo in classifica, si perde e prima che venga soccorso passano ben quattordici ore in cui rischia la morte per ipotermia. Sopravvive da solo, camminando a mani e piedi nudi per una notte e un giorno fino alla salvezza. Ma al rientro in Italia dovranno amputargli le gambe, la mano destra e metà della sinistra. Quella di Massiccione, però, non è solo la storia di un sopravvissuto: la sua vita è sempre stata all’insegna dell’«oltre». È scampato a un’infanzia di violenza e povertà, si è arruolato nella Folgore e poi ha fatto mille lavori, ma a quarant’anni ha mollato tutto per darsi alle gare estreme, prima il triathlon e poi le ultramaratone, dove ha trovato quella libertà che la vita ordinaria non gli dava. Oggi, con le sue protesi ipertecnologiche, il nuovo Zanda è già intenzionato a ritornare sui sentieri dell’avventura, e ad aprile 2019 correrà nel deserto della Namibia. Intanto, la sua storia sta appassionando media italiani e internazionali, per il suo esempio di tenacia, di una vita al massimo capace di rinascere, oltre i limiti del corpo e della rassegnazione.
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AMINA SBOUIPRIGIONIEREStorie di donne, delitti d'onore e IslamEuro 18 - Pag. 304
Amina Sboui, la più controversa attivista per i diritti umani del mondo arabo, racconta le storie terribili ed esemplari delle sue compagne di carcere, per denunciare la condizione femminile nell’Islam. Amina è in attesa di processo per aver postato una sua foto a seno nudo. La prima notte conosce Bessma, che ha assassinato il fratello. Bessma significa sorriso, ma la ragazza non ha sorrisi sulle sue labbra e Amina si chiede cosa può spingere una donna ad ammazzare qualcuno del suo stesso sangue. La risposta che le dà Bessma è sconvolgente: per essere libera di amare. Profondamente turbata, Amina decide di raccontare le vicende delle altre detenute e le loro storie. Conosciamo Iman, raggirata da un uomo che prima la seduce e poi l’abbandona, Hana, Nahed, Zohra, Monia, condannata per avere ucciso i suoi due figli. Mandata in sposa dalla famiglia a un cugino violento che le rende la vita un inferno fin dalla notte di nozze, mette al mondo due bambini che per via del matrimonio tra consanguinei hanno entrambi gravi disturbi mentali. Per salvarli dalla violenza del marito, Monia decide di uccidersi insieme a loro con un potente sonnifero, ma sopravvive. Sono storie vere, raccolte e raccontate in prima persona da chi ha fatto della lotta e dell’emancipazione femminile la sua principale ragione di vita. È un viaggio terribile, ma anche commovente e illuminante all’interno delle carceri tunisine e in fondo all’anima di queste donne maltrattate, abusate, sottomesse nell’Islam più fanatico e arretrato, nel quale la condizione femminile è rimasta come nel Medioevo.
AMINA SBOUI, nota anche come Amina Tyler, è un’attivista tunisina di ventiquattro anni che, dopo aver vissuto qualche anno a Parigi in seguito alle violente polemiche generate dalla sua attività all’interno del gruppo Femen, ora è tornata nella patria d’origine, a Sidi Bou Said, un villaggio sulle rive del Mediterraneo, dove nella sua casa ospita una dozzina fra gay, transgender e lesbiche perseguitati per ragioni di orientamento sessuale. Femminista e blogger da quando aveva solo diciannove anni, figlia di un medico e di un’insegnante, era una liceale quando ha diffuso su Facebook una sua fotografia a seno nudo, accompagnata dalla scritta «Il mio corpo mi appartiene». Dopo lo scalpore generato da questa forma di protesta, la sua vita è cambiata radicalmente, e questo libro, nato dietro le sbarre del carcere tunisino dove è finita dopo il suo atto provocatorio e rivoluzionario, ne è una prova.
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SALVATORE BRAGANTINICONTRO I PIRAÑASCome difendere le imprese da soci e manager troppo voraciEuro 17 - Pag. 192
Per la maggior parte delle persone, il mondo misterioso delle grandi aziende di capitali è inavvicinabile per le sue logiche troppo complicate. Ammiriamo i casi di grandi imprenditori italiani quando pensiamo a Esselunga di Caprotti o Luxottica di Del Vecchio, ma non sappiamo che per la maggior parte le aziende familiari sono troppo piccole per competere nel grande mare delle corporation. Tocchiamo con mano cosa vuol dire la globalizzazione quando un colosso come l’indiana ArcelorMittal rileva la gloriosa Ilva dal cui destino dipendono più di diecimila lavoratori e famiglie. Ma come funzionano queste società per azioni? Che ruolo hanno i consigli di amministrazione e l’amministratore delegato? Devono comandare loro o l’ultima parola spetta agli azionisti? E i fondi di Private equity, che gestiscono portafogli miliardari, e comprano e rivendono aziende come giocattoli, di chi fanno l’interesse? Degli azionisti di maggioranza e degli speculatori che capitalizzano in breve tempo? Non dobbiamo dimenticare che i posti di lavoro li creano le aziende, non la finanza che specula. Sono le aziende che accrescono il Pil nazionale contribuendo al benessere economico e sociale del territorio, perché le aziende ben gestite hanno una visione di medio e lungo raggio. E dunque può esistere un capitalismo sano, che non arricchisce pochi speculatori rapaci ma tutti gli azionisti, anche quelli di minoranza, e soprattutto fa prosperare le aziende, il vero motore dello sviluppo? La risposta è sì, e in questo pamphlet garbato e pieno di humor, Salvatore Bragantini, forte della sua pluridecennale esperienza prima nel mondo del Private Equity, poi come Commissario Consob, infine nei CdA di molte aziende, spiega in maniera lucida e per tutti le storture dell’attuale sistema di potere che controlla le grandi imprese, e indica la strada per un futuro concreto in cui queste possano fornire il loro contributo allo sviluppo economico e civile delle nostre società.
SALVATORE BRAGANTINI (Imola 1943), si è laureato con lode in Economia all’Università Statale di Roma nel 1967. Sposato, due figli. Già direttore generale di Arca Merchant, poi Commissario Consob; in questa veste ha partecipato alla «Commissione Draghi» che ha preparato il Testo Unico della Finanza, divenuto legge nel 1998. È poi stato amministratore delegato di Centrobanca dal 2001 al 2004. Fino al 30 giugno 2016 ha fatto parte del Securities Markets Stakeholder Group che assiste l'Esma – European Securities Markets Authority – nelle misure di attuazione delle direttive dell’Unione Europea. È editorialista del «Corriere della Sera» dal 1994. Oggi è amministratore di società quotate e non quotate. È membro della Ned, la comunità italiana degli amministratori indipendenti. Per Baldini+Castoldi ha scritto Capitalismo all’italiana - Come i furbi comandano con i soldi degli ingenui.
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